domenica 28 ottobre 2012

Fontamara

di Ignazio Silone
Newton Compton, Roma, 2009


troppo deboli e vili per ribellarsi ai ricchi e alle autorità, essi preferivano di servirli per ottenere il permesso di rubare e opprimere gli altri poveri, i cafoni, i fittavoli, i piccoli proprietari. Incontrandoli per strada e di giorno, essi erano umili e ossequiosi, di notte e in gruppo cattivi, malvagi, traditori. Sempre essi erano stati al servizio di chi comanda e sempre lo saranno. Ma il loro raggruppamento in un esercito speciale, con una divisa speciale, e un armamento speciale, era una novità di pochi anni. Sono essi i cosiddetti fascisti.
Ci sono libri - e anche scrittori; molti, troppi - che vagano nella lista d'attesa delle letture per un tempo indefinito prima di posarsi sul comodino a fianco al letto, nella borsa del portatile o presso altri luoghi meno nobili deputati (anche) alla lettura. Raccolgo quindi un paio di sollecitazioni di amici e inizio il libro più famoso di Silone, pentendomi immediatamente di non averlo letto prima. Fontamara racconta l'impatto sulla vita dei cafoni di un paesino dell'Abruzzo dell'arrivo del regime fascista, dei sempre maggiori soprusi cui i fontamaresi vengono assoggettati con i "legali" raggiri dei notabili e dei "galantuomini", di come il paese - microcosmo assolutamente ignaro di quel che succede nel resto d'Italia e alieno dalla politica - si ritrovi ad essere considerato via via più "sovversivo" per la sua rivendicazione di diritti primari per la sussistenza (l'acqua per l'irrigazione), fino al tragico epilogo. Personaggio-chiave e punto di riferimento per il paese è Berardo Viola, un cafone senza terra con una lucidissima capacità di analisi della situazione, ma vinto da sempre e perseguitato dal destino. Il sacrificio di Berardo nel carcere fascista sarà la molla che farà acquistare ai fontamaresi la coscienza della necessità di un'azione comune, laddove in ogni episodio, fin dalle prime pagine, siamo informati che ognuno pensava ai fatti suoi e aspettava che si compromettessero gli altri. Il giornale dal titolo emblematico Che fare? (vi ricorda qualcosa?) che i fontamaresi stamperanno porterà alla repressione violentissima, a dire che la liberazione resta un miraggio, ma i sopravvissuti racconteranno la storia e la faranno conoscere. E infatti Fontamara fu tanto odiato dal regime fascista da avanzare richiesta alla Svizzera di estradizione di Silone che ivi era rifugiato... come cambiano i tempi; ora in Svizzera ci sono perlopiù i soldini degli evasori!
Silone sovrappone alla vicenda principale molte altre tematiche (la vita dei contadini, la questione meridionale, la religione,...) scrivendo un vero e proprio romanzo corale con uno stile godibilissimo, mai pesante ed infarcito di ironia anche nelle scene più crude (l'interrogatorio dopo lo stupro di massa del Capitolo V); un libro assolutamente da non perdere (magari in un'altra edizione, con un'introduzione migliore di quella, del tutto mediocre, che si legge nella NC).
Resta da capire quanto siano veritieri i ritrovamenti di lettere secondo le quali Silone sarebbe in realtà stato un informatore di polizia, in singolare antitesi con i suoi scritti e con lo spionaggio a cui era sottoposto all'estero. Non tutti ne sono convinti, come si può leggere in Silone sfregiato.

martedì 23 ottobre 2012

Emmentalstrasse

Il bivacco Clusone e la Presolana innevata

Sul 1° tiro

Giancarlo sul 1° tiro

Sul 2° tiro

Giancarlo e Massimiliano alla seconda sosta

Sotto lo strapiombo del 3° tiro

Giancarlo e Massimiliano sul 3° tiro
Tracciato della via
Presolana centrale
Parete SE


La Presolana è probabilmente la mia montagna preferita (mi si permetta un po' di campanilismo), ma certamente non la più frequentata: l'avvicinamento non proprio breve e una certa severità delle vie contribuiscono a centellinare le mie salite, aumentandone però entusiasmo e soddisfazione. Capita così che quando Giancarlo acconsente a venire in Presolana, complice un'uscita del corso roccia della FALC, non mi faccio scappare l'occasione: il compagno di cordata infatti - come gli ricordo sempre - nutre un'inspiegabile diffidenza per le montagne ad est di Milano (escluse le Retiche, perché le si raggiunge dirigendosi verso nord!). La stagione ormai agli sgoccioli e l'orario di partenza non proprio "alpinistico" ci fanno puntare al Torrione Longo, anche perché lì ci aspetta Emmentalstrasse, ultima rimasta su quel torrione tra le vie accessibili al mio scarso livello. Le informazioni raccolte su Interdet riguardo a chiodi strappati e protezioni un po' precarie non contribuiscono a rasserenarmi, anche perché le uscite in Presolana non sono mai "tranquille", ma via; si va. Via breve di quattro tiri (a cui si può aggiungere un tiro di Spigolando per restare su gradi omogenei, ma molto più protetti) con un bellissimo quarto tiro, Emmentalstrasse procede essenzialmente per placche a buchi, senza trascurare qualche breve muretto o strapiombo. Peccato per la vegetazione, che disturba parecchio il secondo tiro e qualche passaggio del primo. Nel complesso una bella via un po' impegnativa (per me).
Accesso: appena prima del passo della Presolana parcheggiare a destra nei pressi dell'Hotel Spampatti e seguire la strada di fronte, seguendo subito il sentiero a destra (indicazioni per baita Cassinelli), che sale nel bosco e si congiunge con quello che si prende parcheggiando qualche centinaio di metri più avanti sulla sinistra. Superare la malga Cassinelli e risalire il ghiaione (segnavia 315 per il bivacco Città di Clusone e Grotta dei Pagani). All'altezza del Torrione Longo prendere una delle tante tracce che risalgono il pendio erboso o ghiaioso sulla destra e costeggiano la parete del torrione dirigendosi verso la Presolana Orientale. Superare l'attacco di Echi verticali (scritta) e una nicchia; pochi metri dopo c'è l'attacco (scritta alla base con "H" di troppo e cordino in clessidra poco sopra).
Relazione: i numerosi cordini in clessidre indicano in maniera abbastanza evidente il percorso, ma alcuni di essi sono totalmente rovinati ed inaffidabili, e per di più difficili da "doppiare" (sarebbero ormai da sostituire); ciò contribuisce ad aumentare il flusso di adrenalina, perché è veramente meglio non saggiarne la tenuta con un volo. Poche possibilità di integrare, ma un paio di friend medio-piccoli mi sono stati utili; roccia buona tranne un breve tratto nel primo tiro ed i tratti in "safari" erbosi del secondo.
Nota: Matteo mi avvisa che il giorno dopo la nostra salita sono state sistemate le soste della via ed alcuni cordini. Le informazioni sulla chiodatura sotto riportate potrebbero non essere aggiornate. In ogni caso, consideratele come un "caso pessimo".
1° tiro: salire la placchetta iniziale poi spostarsi a destra verso rocce un po' rotte che si risalgono verso sinistra; ancora dritti per bella placca fino ad un passo delicato verso sinistra che adduce alla sosta; 30m, V+, VI-, 3 chiodi, 6 cordini in clessidre. Sosta su tre spit (due ballerini) con cordoni e maglia-rapida.
2° tiro: si sale cercando la roccia in mezzo all'erba: a destra della sosta, poi dritto su una lingua rocciosa, ancora a destra attraversando una fascia erbosa per riguadagnare la roccia e salire. All'altezza degli strapiombi gialli attraversare a sinistra puntando a due spit ben visibili. Non fate come me che, dopo averli visti, ho "puntato" a due chiodi continuando dritto e ho fatto sosta lì, spostandomi dopo con "bel traverso erboso"; 45m, V; 4 chiodi, 3 clessidre. Sosta su due spit oppure cordoni in clessidre con maglia-rapida.
3° tiro: salire sulle placche poco protette puntando ad un cordino in clessidra. Io sono salito alla sua destra fino a trovare un chiodo (che ho visto dopo, non ho rinviato ed è diventato oggetto di reiterati improperi) attraversando poi brevemente verso sinistra. Da qui più evidente: salire obliquamente a sinistra, poi dritto fin sotto uno strapiombino che porta in sosta; 35m; V+, VI-; 3 chiodi, 1 bong, 5 cordini in clessidre. Sosta su tre spit e cordone con maglia-rapida.
4° tiro: a destra a raggiungere un cordone in clessidra. Salire lo strapiombo a sinistra (non come me, che dopo aver letto "sinistra" dieci volte si è buttato a destra in tentativi poco fruttuosi) e spostarsi su placca ancora a sinistra per salire poi in verticale. La via si sposta infine su placca a destra; io qui mi sono invece lasciato tentare da un'evidente lama rovescia (proteggibile con friend) che porta in pochi metri ad una cengia erbosa e poi alla sosta (piccola variante consigliabile); 40m; VI+, VI-, V; 3 spit, 1 chiodo, 6 cordini in clessidra. Sosta su due spit e clessidra con cordone e maglia-rapida.
Discesa: due calate in corda doppia da 60m: dalla quarta alla seconda sosta e da questa a terra. Fare i nodi ai capi per sicurezza. Se si vuole proseguire su Spigolando, salire il pulpitino a sinistra dove si trova la sosta a spit.
Giancarlo ha pure trovato il tempo di girare un piccolo video. Se ricordo bene, la colonna sonora è di Sammartini.


Avvertenza: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

venerdì 19 ottobre 2012

Assaggi dalla Toscana alla Sicilia



Le cantine, anche quelle non particolarmente ricche come la mia, riservano sempre delle sorprese. Vini e produttori dimenticati, memorie di viaggi, amici e/o fanciulle, progetti di visite future; tutto questo si affaccia più o meno regolarmente alla mente quando si afferra una bottiglia e la si apre, e tutto questo mi è nuovamente capitato grazie ad un paio di bottiglie assaggiate nelle scorse settimane, di cui per pigrizia e mancanza di tempo non sono riuscito a mettere per iscritto le impressioni prima. Le accomuno quindi, nonostante le differenze.
Il Chianti classico Poggerino mi era stato raccomandato da - come si dice - "amici di amici", ma era rimasto a riposare per qualche anno. Aperto ora, dopo 8 anni, questo 2004 si è rivelato ben al di sopra delle mie aspettative e reclama un'incursione in terra di Siena, o almeno in un'improbabile enoteca dei dintorni orobici che ne sia fornita, per rimpinguare l'esigua scorta. Bel colore rubino, ma con un aroma non particolarmente intenso, il Poggerino si presenta senza troppa convinzione. All'assaggio, invece, le cose cambiano: l'invecchiamento di 12 mesi nelle barrique non stravolge i sapori, ed il 100% sangiovese si fa sentire. Gli immancabili frutti rossi, con qualche nota speziata e minerale accompagnano un vino ben proporzionato e intenso, che si lascia bere con estrema piacevolezza.
La settimana successiva ho un'altra occasione di prelevare una bottiglia dormiente nella cantina, e scendo a sud. Il Cerasuolo di Vittoria dell'azienda agricola Cos è prodotto senza le diavolerie che oggi trasfigurano spesso il vino e rispecchia fedelmente la filosofia dell'azienda, una specie di simbolo del vino naturale. Io mi sono bevuto con sommo piacere un 2001, ma non ho fotografato la bottiglia e ho pescato la foto con l'annata 2006 da Interdet. Un bel rubino intenso tendente un poco al granato che elargisce sentori di frutti rossi e note di terra, di cuoio e di cacao, che marcano la differenza col vino precedente. Anche il Cerasuolo si beve con estrema piacevolezza e fa ricordare, insieme al suo compare di Toscana, che ci sono moltissime cantine in Italia che producono vino di qualità, non industriale e a prezzi accessibili. Peccato che di questo Cerasuolo avevo solo la bottiglia 2001...

martedì 16 ottobre 2012

La rossa e il vampirla

Sul 1° tiro

Giancarlo e Claudia sul 2° tiro

Sul 3° tiro

Giancarlo sul 3° tiro

Sul 5° tiro

Tracciato della via
Pilastro Lomasti
Parete SO

Tutte le volte che arrampicavo al Paretone di Arnad l'occhio immancabilmente cadeva sulle forme arrotondate del Pilastro Lomasti, prima che una rapida consultazione alle difficoltà delle vie che vi salivano mi facesse lestamente volgere lo sguardo su pareti meno ostiche. Ma da un paio d'anni la via più abbordabile della parete, la rossa e il vampirla, mi appariva quasi a portata di... "scarpette" e così sabato, diretti al Paretone, assecondiamo la proposta di Claudia e andiamo invece a "dare un'occhiata" al famigerato pilastro: parecchie cordate alla base, qualcuno che giunge dopo di noi e fugge inorridito lasciandoci salire in tutta... lentezza, placche dall'aspetto poco rassicurante. Visto dal basso, sembra impossibile che si possa salire con delle difficoltà tutto sommato contenute; invece, la roccia veramente bellissima e la chiodatura comunque sicura ci hanno regalato una salita notevole, anche se non banale e con un po' di adrenalina in circolo.
Accesso: uscire dall'autostrada TO-AO a Pont S. Martin, proseguire in direzione AO passando il forte di Bard fino ad Arnad, lasciare la SS26 all'altezza della Corma di Machaby, costeggiarla e prendere a destra per Machaby (indicazioni); al bivio ancora a destra (ind. Machaby) fino ad una curva dove si trova un primo parcheggio sulla sinistra, da dove si sale lungo la bella mulattiera di fronte. In alternativa, proseguire ancora lungo la strada che termina poco oltre in un ampio parcheggio, dove un sentiero conduce sulla mulattiera precedente. Il sentiero sale al santuario e raggiunge l'ex forte di Machaby, ora ostello. Da qui a sinistra (indicazioni per pilastro Lomasti), la bella strada sale a tornanti, raggiunge alcune case e diviene sentiero. Poco dopo si segue una traccia a destra (ancora indicazioni) che in breve porta alla base del pilastro, dove partono le vie. Si risale per alcuni metri sulla sinistra fino all'attacco della via (scritte alla base).
Relazione: la via sale su placche e brevi muretti, in arrampicata mai banale su piccole reglette e buchi che richiedono un minimo di padronanza dei gradi. La roccia è semplicemente fantastica e la chiodatura buona, con un paio di passaggi più lunghi sul 1° tiro (dove ho trovato utile un friend C000) e diversi passi obbligati di 6a. I tiri sono piuttosto continui ed i gradi non sono "regalati". Percorso sempre ovvio; tutte le soste tranne la prima sono su 2 spit e catena con anello di calata.
1° tiro: subito su placca per poi prendere un diedrino a sinistra che conduce ad una seconda placca prima della sosta vicino ad un albero; 45m, 6a, 5a, 6a, 13 spit. Sosta su 2 spit e cordino con maglia-rapida.
2° tiro: salire e portarsi verso destra fin sotto ad un muretto con una lama sovrastante; poi ancora a sinistra per placche verso la sosta; 35m, 6a, 9 spit.
3° tiro: dritti sopra la sosta, superare un muretto verticale e proseguire su placche; 25m, 6a, 8 spit, 1 sosta intermedia.
4° tiro: salire la fessura ad arco, superare un muretto e raggiungere la sosta; 20m, 6a+, 6a, 7 spit.
5° tiro: dritto e un poco a destra per placche fino a salire un muretto; da qui a sinistra a prendere una fessura che porta nuovamente su placca finale e alla sosta; 30m, 6a, 9 spit.
6° tiro: superare il muretto sopra la sosta e proseguire dritti. Confesso che ho avuto qualche problema ad uscire dal muretto e invece di imbarcarmi in complicate manovre mi sono spostato a sinistra all'altezza del 2° fittone, per poi proseguire; 15m, 6a, 5a, 5 spit.
Discesa: in doppia sulla via. Dalla fine alla quarta sosta; dalla quarta alla seconda; dalla seconda alla sosta intermedia del 2° tiro (possibile utilizzare un'altra sosta pochi metri più in basso e a destra); da lì a terra.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

mercoledì 10 ottobre 2012

Catia

Diego sul 1° tiro

Matteo sul 1° tiro

Sul 2° tiro

Luca sul 3° tiro

Sulla difficile placca del 3° tiro
In vetta.
Monte Colt - Valle del Sarca
Parete E

Mi ritrovo per il secondo sabato consecutivo in Valle del Sarca, e torno ad arrampicare con Matteo dopo quasi due mesi. Programma come sempre non ben definito, che prende forma quando Diego ci propone una via aperta nel 2011 sul monte Colt, dietro la parete S. Paolo. È incredibile che in Valle del Sarca ci sia ancora posto per aprire nuove vie, vista l'esplosione di aperture degli ultimi anni, ed è ancora più incedibile che ci siano ancora vie possibili su roccia buona. Aggiungo che la zona è (per ora) decisamente poco frequentata rispetto alla vicina parete S. Paolo (possibile concatenamento) per invogliare ad una ripetizione.
Accesso: raggiungere il ponte romano di Ceniga, oltrepassarlo e svoltare a sinistra fino ad un parcheggio (raggiungibile anche dal ponte di Arco, seguendo la via sulla destra orografica del fiume Sarca; in alternativa si può lasciare l'auto a Ceniga). Tornare verso il ponte e all'incrocio prendere il sentiero che sale sulla sinistra. Dopo poco prendere una deviazione che sale a destra (ometto) che si segue fino ad una seconda deviazione a destra (freccia e bolli blu) che conduce in breve alla parete.
Relazione: via breve ma interessante, su roccia buona, con solo un po' di vegetazione che disturba il 4° tiro; protezioni buone con un tratto non facile nel 3° tiro. Peccato che la relazione originale degli apritori sia alquanto opinabile per quel che riguarda la valutazione dei gradi; di seguito la mia valutazione personale:
1° tiro: in obliquo a sinistra nel diedro appoggiato fino ad aggirare un pulpitino (passo in A0) dopo cui si trova la sosta; 30m, V, A0, 4 spit, 2 chiodi (1 con cordone), 5 cordoni in clessidra. Sosta su 2 spit e cordone. Attenzione ad alcuni tratti bagnati.
2° tiro: salire a sinistra della sosta puntando ad una fessura triangolare, seguirla verso sinistra, superare un facile  muretto e spostarsi ancora a sinistra alla sosta; 30m, V+ (forse VI-), 3 spit, 1 chiodo, 2 cordoni in clessidra. Sosta su uno spit.
3° tiro: salire la placca (più facile un paio di metri a sinistra) e portarsi sopra la sosta a prendere un vago diedrino che adduce ad una cengia con albero, che si segue verso destra. Salire in corrispondenza di una lama e superare la difficile placca successiva fino alla sosta; 35m, 6a, 6b, 11 spit, 1 chiodo, 2 cordoni in clessidra, 1 cordone su pianta. Sosta su due spit e cordone. La placca non è facilmente azzerabile; complimenti a Diego per aver condotto la "spedizione" fuori dai guai!
4° tiro: salire in corrispondenza di una lama a sinistra della sosta, superare una fessura rovescia e proseguire su terreno facile fino alla cima; 45m, V-, IV, 3 spit, 1 cordone in clessidra. Sosta da allestire su spuntone o clessidra.
Discesa: raggiungere la vicina croce di Colt e seguire la traccia verso sinistra che si congiunge col sentiero n.431 che riporta al ponte.

Nota: quanto sopra è la relazione del percorso da me seguito. Altre opzioni possono essere possibili per quanto riguarda l'accesso, la salita e la discesa; inoltre, le protezioni, le soste ed il loro stato possono cambiare nel tempo: usate sempre le vostre capacità di valutazione! Vogliate segnalarmi eventuali errori ed omissioni. Grazie.

domenica 7 ottobre 2012

Trattoria del gallo

Via cantine, 10
Rovato (BS)

La zona del Franciacorta è senza dubbio una delle più interessanti (enogastronomicamente parlando) della Lombardia, ed è raggiungibile con estrema facilità da Bergamo, dove abito. È così che ieri sera, dopo il rientro da un'arrampicata in Valle del Sarca (relativo post a seguire...), puntiamo verso Rovato dove mi "sdebiterò" - con mio sommo piacere - verso un amico per un favore con una cena. La trattoria del gallo è nel pieno centro del paese e si raggiunge passando sotto ad un arco di fronte alla chiesa, alla via Castello (la mappa di Google fa un po' pena; presente indicazione). L'ambiente conserva gli arredi d'epoca ed è ben ristrutturato, seppur con alcuni "tocchi" un po' discutibili, come la colonna tinteggiata color oro nella saletta in cui ci accomodiamo. Servizio piacevole e cordiale; cucina con prevalenza di carni, ma con qualche piccolo excursus verso il vicino lago d'Iseo. Tra gli antipasti assaggiamo del salumi e un ottimo tortino di finferli allo zafferano, per me (golosissimo di funghi) il piatto migliore della serata. Dopo una disputa sulla presenza o meno di capperi nella salsa di accompagnamento agli antipasti si passa al primo, pure molto buono: risotto mantecato con fichi caramellati e crescenza, piatto relativamente semplice (almeno in apparenza) che prima o poi, quando ritornerò dell'umore di sperimentazioni culinarie, tenterò di imitare. Buoni, ma secondo me un poco sottotono rispetto a quello che avevamo mangiato in precedenza, i secondi: un manzo all'olio, che dovrebbe essere il piatto forte della cucina locale, ed un (secondo me migliore, ma forse sconto un amore per questo tipo di cottura) guanciale brasato al Curtefranca. Diciamo che mi sono sembrati dei buoni piatti, ma che mi aspettavo qualcosa di più. Anche la torta al cioccolato che conclude la cena mi è parsa buona, ma nulla di speciale. Carta dei vini giustamente monopolizzata (o quasi) dalla Franciacorta, con ricarichi forse un poco alti. Io di quella regione preferisco di gran lunga i bianchi, mentre i rossi non sono in cima alla lista dei miei vini preferiti; l'abbinamento ha comunque funzionato alla perfezione.

giovedì 4 ottobre 2012

Giuseppe Garibaldi, Giuseppina Raimondi, Luigi Caroli - un amore controverso

di Vittorio Polli
Junior, Azzano S. Paolo (BG), 1986

Do anch'io il mio piccolo contributo (tardivo) di letture per il centocinquantenario dell'unità d'Italia con questo libretto (in verità una ristampa della prima edizione del 1969) in cui si racconta un triangolo amoroso il cui più noto protagonista è l'eroe dei due mondi e "l'altro" un giovane di Stezzano (un paesino a pochi km da Bergamo in cui si può vedere ancora la villa di famiglia). La storia è sostanzialmente nota, anche se rimangono alcuni punti oscuri che difficilmente potranno essere chiariti, vista la scomparsa di alcuni archivi. Ma veniamo ai fatti: nel 1859 Garibaldi (allora 52enne) entra a Como con i Cacciatori delle Alpi e conosce Giuseppina Raimondi (18enne), figlia del marchese Giorgio Raimondi, e se ne invaghisce (l'uomo aveva un certo debole per le fanciulle...). Lei inizialmente resiste, ma infine acconsente al matrimonio, forse per il fascino di Garibaldi, forse per le insistenze paterne; il Generale passa alcune settimane nella villa Raimondi, dove "conosce" la futura moglie.
Chi non si rassegna è Caroli, amante "da sempre" della fanciulla, che sul finire del 1859 fa di tutto per riaverla: i due amanti si vedono e passano insieme alcune notti, ma questo non fa cambiare idea a Giuseppina. Il matrimonio si celebra il 24 gennaio 1860 a Fino Mornasco. All'uscita dalla chiesa, un militare porge una lettera a Garibaldi che la legge e si apparta colla moglie chiedendo se quanto scritto sia vero. Segue un galante apprezzamento: "puttana", e una  fuga a cavallo con l'abbandono della moglie, che non rivedrà mai più. Ad agosto-settembre 1860 Giuseppina partorirà un figlio morto, mai registrato allo stato civile, di cui negherà sempre l'esistenza.
Garibaldi torna... a fare Garibaldi; c'è la spedizione dei Mille e tutto il resto; le vite dei due giovani, invece, sono schiacciate dagli eventi. Caroli, patriota che ha già combattuto, vorrebbe arruolarsi nei Mille, ma Garibaldi in persona non lo vuole (come dargli torto...). Nel 1863 si unisce al concittadino Francesco Nullo nella sfortunata spedizione in sostegno dell'insurrezione polacca contro i russi: l'improvvisato esercito polacco si squaglia alla prima battaglia lasciando la pattuglia di bergamaschi e qualche francese a combattere coi Cosacchi. Nullo è colpito a morte e gli altri sono catturati, con l'onore delle armi. La condanna a morte iniziale è commutata ai lavori forzati in Siberia, dove il povero Caroli muore due anni dopo.
La villa Caroli-Zanchi a Stezzano
Giuseppina rifiuterà sempre di sposare Caroli (con cui trascorre qualche mese dopo il matrimonio, a Friburgo, nell'attesa che le acque si calmino e che le protesterà sempre il suo amore) e si ritirerà nella casa paterna. Nel 1880 acconsentirà all'annullamento del matrimonio con Garibaldi (che vuole sposare Francesca Armosino per dare il nome ai figli) sulla base del fatto che lo stesso "non è stato consumato" (!), sposerà Ludovico Mancini e si rinchiuderà nel silenzio, portando letteralmente alcuni documenti nella bara (nel 1918) e ordinando alla nipote di distruggerne altri alla sua morte.
Il libro racconta questa vicenda alla luce dei documenti emersi più di 40 anni fa, e chiarendo diversi fatti sulla base di varie lettere conservate nelle biblioteche di Bergamo e Como. Alcuni dubbi, come si diceva, restano: chi scrisse la lettera fatale? Probabilmente Caroli stesso, in uno scrupolo di onestà e nella speranza di far saltare il matrimonio (i ritardi delle poste causano danni non da oggi). Di chi era il figlio di Giuseppina, di Garibaldi o di Caroli? Perché Garibaldi attese 15 anni per chiedere l'annullamento del matrimonio? Nel libro si accenna anche ad alcune lettere di Giuseppina che avrebbero dovute essere depositate in biblioteca e di cui se ne è persa traccia; sarebbe interessante capire se in quasi mezzo secolo sono emersi nuovi documenti o se le bellissime ville neoclassiche di Stezzano e di Fino custodiscono ancora gelosamente i particolari di questa sfortunata vicenda.

martedì 2 ottobre 2012

Molla tutto

La parete con l'attacco della via e il pilastro Gabrielli

Callisto sul 1° tiro

La fine del 2° tiro e la sosta

Callisto sul traverso del 3° tiro

Sul 5° tiro

Fine via

Tracciato della via
Mandrea - Valle del Sarca
Parete E

Ogni stagione dell'arrampicata ha i suoi luoghi, e la fine dell'estate mi riporta con piacere in valle del Sarca. L'idea era di salire una via alle Coste dell'Anglone, ma durante il viaggio la meta cambia e ci dirigiamo verso Mandrea, parete centrale, attirati dalle 4 stelle che la guida di Diego Filippi dà a Molla tutto. In realtà la via fornisce l'occasione per capire quanto lavoro ci sia dietro le ripuliture che il gruppo di Heinz Grill fa sulle proprie vie. Per carità, qui non siamo ai livelli drammatici de Il cielo di Dro, da evitare accuratamente, ma la parte alta della via avrebbe proprio bisogno di una sistemata; com'è ora rimane una via che regala qualche bel tiro, ma come ce ne sono a decine in Valle. Bisognerà dire a Diego di togliere una stella nella prossima edizione...
Accesso: da Arco di Trento seguire le indicazioni per Laghel. La strada sale seguendo le pareti della Rupe Secca e giunge ad un bivio con una chiesetta bianca. Da qui si prende la strada che sale ripida a sinistra che diviene sterrata. Si supera una prima curva ad angolo retto sulla destra e poco dopo, in corrispondenza di una seconda, si notano sulla sinistra un crocefisso ed una fontana. Si lascia l'auto sulla curva o pochi metri prima e si prende la stradina sulla sinistra, che mena al marcato pilastro Gabrielli. Seguire la parete verso sinistra fino ad un evidente zoccolo erboso (vedi foto) che si risale verso destra fino a trovare una linea di spit sotto un vago diedro obliquo verso destra. Alla base ci sono un cordone in clessidra ed uno spit; la targhetta col nome della via riportata in altre relazioni non c'è più.
Relazione: via ben protetta a spit con due tiri decisamente belli, ma viziata da abbondante vegetazione e terra che hanno rovinato la parte alta, dove le difficoltà calano. Percorso sempre ovvio tranne in un paio di punti, che ci hanno costretto ad una delle nostre solite digressioni. Roccia buona, a parte qualche breve tratto.
1° tiro: salire il diedro svasato verso destra, che si raddrizza su una placca con un piccolo camino-fessura a sinistra; 25m, 6a+, 6a, 8 spit, 3 chiodi. Sosta su due spit e cordone.
2° tiro: a sinistra della sosta, si supera una pianta e si prosegue verso destra fino ad uscire su terreno facile da cui si sale ad una cengia dov'è la sosta; 35m, 6a/A0 (6b e 6c in libera secondo la guida di Filippi), 11 spit, 1 chiodo. Sosta su due spit e cordone.
3° tiro: in traverso verso sinistra fino alla sosta; 25m, A0, 12 spit. Sosta su due spit e catena con anello di calata. Il tiro è definito "difficilmente liberabile" dalla guida di Filippi e noi ci siamo fidati ciecamente, passando da un rinvio all'altro.
4° tiro: sopra la sosta, a destra, si intravede un cordone grigio che pende. Non fate come me e lasciatelo perdere; probabilmente è un residuo di qualche tentativo abortito. Salite invece verso la pianta a sinistra della sosta e continuate in verticale per diedri, fessure e placche fino a sostare sotto il grande tetto giallastro. Terra e vegetazione rendono fastidiosa l'arrampicata; 45m, 5c, 6a, 14 spit. Sosta su due spit e cordone.
5° tiro: sopra la sosta, poi a destra e dritto nel diedro. Superare la placchetta finale e raggiungere la sosta sulla destra. Attenzione a non uscire a destra prima della placca finale; la vegetazione farebbe immediatamente giustizia di voi! 30m, 6a, 6a+, 10 spit. Sosta su due spit e cordone.
6° tiro: salire le placche sopra la sosta che portano verso sinistra fino ad una fessura che si sale fino ad uscire su terreno facile. Proseguire qualche metro fino alla sosta sulla parete; 40m, 5b, 5c, 9 spit (uno con cordino). Sosta su due spit. Si trova un vecchio libro di via ormai pieno.
La via originale finisce qui. Successivamente sono stati aggiunti due tiri (difficoltà dichiarate 6b+/6c) che non abbiamo percorso.
Discesa: seguire il sentiero verso destra fino a risalire la fascia rocciosa terminale (libro di "vetta") ed incrociare un sentiero in corrispondenza di un'abitazione. Seguire il sentiero verso sinistra (sud, direzione Laghel) e prendere ancora a sinistra ad un bivio più avanti (bolli bianchi e rossi su albero). Il sentiero si riporta sul versante di partenza e scende verso la strada. Tenendo ancora la sinistra ad un bivio in corrispondenza di un pilone ENEL ci si ritrova sullo sterrato ed in breve al parcheggio. 1h circa.