domenica 12 maggio 2013

L'Italia nella Grande Guerra

di Gian Dàuli
Edizioni Aurora, Milano, 1935

Non è troppo arrischiato il dire che l'Italia era ad un bivio che portava, per i due rami, sempre alla guerra: per l'uno alla guerra nazionale, per l'altro alla guerra civile.
Gian Dàuli fu uno dei più attenti curatori letterari del primo dopoguerra e fece tradurre per la prima volta in Italia innumerevoli opere di autori stranieri (angloamericani, ma non solo), tra le quali cito solamente l'indimenticabile Viaggio al termine della notte di Céline nel 1933. La curiosità verso l'autore è stata uno dei motivi per cui non mi sono lasciato sfuggire questo libro, seppur monco della bella sovracopertina (l'altro, forse meno confessabile, è stato il prezzo irrisorio che ho pagato); visto l'anno di pubblicazione, infatti, non è che mi aspettassi un resoconto critico o anche solo obiettivo, anche se è vero che le sorprese sono spesso in agguato. Cominciamo dalle sorprese, quindi: nella prefazione di Aldo Cabiati si evidenzia come lo scopo del libro sia una "cronaca" degli eventi militari e politici senza troppo indugiare in considerazioni critiche, ciò che consente all'autore di infilare nel libro una serie di avvenimenti per così dire "minori" che non si ritrovano in altri volumi ben più completi ed affidabili sull'argomento. Questo è vero soprattutto per l'aspetto politico, con i resoconti degli interventi parlamentari (di una retorica stucchevole per la maggior parte), ma anche per quello più propriamente storico-militare, con bollettini e comunicati d'agenzia e informazioni sulle operazioni dei contingenti italiani in altri settori del fronte: Francia, Serbia, Africa. Alla fine del libro si trova una breve cronologia, la lista delle MO e brevi biografie dei martiri dell'irredentismo (tra cui lo sconosciuto - per me - Francesco Rismondi).
E veniamo agli aspetti meno simpatici: Francesco Giuseppe è un "minorato" (pag. 83) a cui sono riservati altri giudizi poco lusinghieri (pagg. 184-85), il partito socialista è "estremista" (pag. 28), operai e contadini sono schiavi del "sovversivismo internazionalista" (pag. 30), Nizza e Malta sono pure "irredente" e così via; insomma, lo sfruttamento della Grande Guerra a fini interni opera qui a piena potenza, alla faccia della pura cronaca, che infatti è smaccatamente di parte, dimenticando meriti e vittorie dell'esercito austro-ungarico che diventano piccole ritirate strategiche da parte nostra (ad es. l'Ortigara). Certo, a discolpa di Dàuli c'è da chiedersi quali possano essere state le fonti del suo lavoro, ma a leggere la serie delle vittorie italiane e di contrattacchi falliti del nemico c'è da stupirsi che la guerra non sia finita in pochi mesi! In ogni caso, questo conferma che di quanto pubblicato in quegli anni è molto più interessante leggere la memorialistica che non i sedicenti libri di storia (con le dovute eccezioni da una parte e dall'altra).
Per chiudere, riporto un paio di notizie che non conoscevo: a pag. 113 si riporta un comunicato AU alle popolazioni del Trentino dove si notifica della presa di ostaggi tra la popolazione civile che garantiranno colla vita l'assenza di comportamenti ostili; pratica decisamente poco simpatica. A pag. 55 invece si accenna (anche qui in modo assai parziale) alla vicenda del professore (e alpinista!) tedesco Max Abraham del Politecnico di Milano, che sarà cacciato dal Paese (la vicenda è riportata per esteso qui). Nulla cambia, invece, in certe abitudini del Paese (pag. 155): nuovo voto di fiducia al governo (16 aprile [1916]) [...] nella stessa seduta, la Camera prese le vacanze fino al 6 giugno!

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