mercoledì 27 agosto 2014

Elbridge (Alberto) Rand Herron (1902-1932)

G. Colacicchi, Ritratto di Rand Herron [1]
Enriques, Segrè, Rand Herron, Franchetti e Ciaranfi
dopo l'ascensione alla S della Rosetta. Con loro la
nipote del gestore del rifugio Rosetta (da [3])
ARH (da [6])
Dalla Rivista di Firenze anno 1 n. 2 [5]
La domanda di iscrizione al CAI Milano.
Mi hanno sempre incuriosito le persone dai vari interessi, quelle attratte dalle molteplici forme della conoscenza, che trovo assai più stimolanti di chi coltiva in modo monomaniacale una più o meno ristretta disciplina. Così nella scienza, così nell'alpinismo, dove poco mi appassionano i ritratti di eccelsi scalatori che non vedevano al di là di una croda o di una parete o i racconti di alpinismo che parlano solo di alpinismo (cioè, praticamente tutti). Molto, molto più avvincenti certe figure forse - diciamo così - "minori", ma che all'andar per monti alternarono impegno e dedizione in ben altre discipline e/o cause.
Elbridge (o Alberto, come si faceva chiamare in Italia) Rand Herron appartiene senz'altro a questo gruppo di persone: alpinista, letterato, poliglotta, compositore musicale. Forse qualche sparuto cultore lombardo di alpinismo lo associa ad un paio di vie in Grignetta e allo Zuccone Campelli aperte in compagnia di Leopoldo Gasparotto, ma certamente nulla più; peccato. ARH (mi si consenta l'abbreviazione del lungo nome nel seguito) nacque il 23 luglio 1902 in Italia, a Pegli, da genitori americani. Il padre, George Herron (1862-1925), doveva essere un tipo notevole: pastore congregazionalista che si era avvicinato al socialismo ed era emigrato in Italia nel 1901, dopo il suo divorzio e successivo matrimonio con Carrie Rand (1867-1914), sua collega al Iowa College. Tra i fondatori del Partito Socialista Americano (SPA), se ne distaccò nel 1917, quando lo SPA si oppose all'entrata in guerra degli USA, ma la sua ferma presa di posizione anti-prussiana non gli impedirà poi di criticare gli eccessivi oneri a carico della Germania contenuti nel trattato di Versailles. Con la famiglia si spostò a Ginevra, dove svolse attività di intelligence per l'Intesa per poi tonare alla villa di Firenze, luogo di ritrovo di socialisti e internazionalisti. La sorellastra di ARH, Margaret Vennette Herron (1885-1973), fu scrittrice e visse tra gli Stati Uniti, l'Italia e Giava.
ARH è immerso quindi sia da ragazzo in un milieu culturale di ampio respiro. Si laurea in filosofia, cura la sezione delle riviste straniere per la Rivista di Firenze (fondata da de Chirico e Savinio) e conosce Giovanni Colacicchi, che gli farà un ritratto (di cui resta solo il disegno preparatorio, vedi figura [1]) e gli dedicherà la Niobe (visibile qui); inoltre mi piace pensare che abbia conosciuto Mario Castelnuovo-Tedesco (uno dei compositori per chitarra - e non solo - più importanti del '900) in virtù della comune amicizia con Colacicchi e amore per la musica (dopo la laurea ARH si era diplomato al Conservatorio di Vienna). Pratica l'alpinismo, anche extraeuropeo, incontrerà il fisico Emilio Segrè, futuro premio Nobel che si dilettava di arrampicata, che lo definirà "un americano eccezionalmente bravo, che pur avendo cominciato da poco ci aveva superati tutti di gran lunga" [2], e Giovanni Enriques [4], e si interesserà brevemente all'aviazione (anche questo connubio andrebbe investigato più a fondo; si pensi a Giorgio Graffer o ad Antonio Locatelli). Muore a trent'anni il 13/10/1932 in un incidente banale, precipitando dalla piramide di Chefren in Egitto al ritorno da una spedizione al Nanga Parbat [4].

Praticamente impossibile (almeno, per me) procurarsi una copia delle sue composizioni musicali (ammesso che esista); di quelle letterarie restano gli scritti per la Rivista di Firenze, i cui primi due numeri del 1924 sono reperibili online qui. Oltre alle recensioni di articoli da riviste straniere in cui si parla di musica e teatro, ma anche di religione, ARH pubblica un solo scritto su questi numeri, Dal mio diario (di cui, se è veramente esistito, non vi è traccia) [4, vedi figura], sorta di anelito giovanile verso la conoscenza o invito al fare culturale senza abbandonarsi al nichilismo (a voi la scelta). Al CAI Milano (con il gentile supporto del sig. Renato, che ringrazio vivamente) ho recuperato la sua domanda di iscrizione come socio vitalizio, presentata il primo settembre 1931, dove si dice musicista e residente a New York, vicino alla Columbia University (si era trasferito nel 1929). E per il CAI, ARH scrive diversi articoli di alpinismo su Lo Scarpone o la Rivista Mensile, e proprio su questi fogli Leopoldo Gasparotto pubblicherà due versioni molto simili del suo necrologio [6,7], mentre sull'American Alpine Journal del AAC ne compare uno scritto da Elizabeth Knowlton [8]. Figlio dei nazionalismi dei tempi l'accento sull'appartenenza all'Italia o agli USA di ARH, presente in entrambi i necrologi. Di certo il padre, nella dedica del suo libro The revival of Italy del 1922 [9], lo definisce "adoratore fedele al santuario d'Italia" (in italiano nel testo), ma la questione è veramente importante? Più interessante notare come dalla vita di ARH emerga una rete di relazioni intellettuali e sociali in cui l'alpinismo giocava un ruolo di primo piano, trovando posto accanto alla scienza ed all'umanesimo e contribuendo a definire la cultura di una parte dell'élite dell'epoca. Evitiamo facili confronti con oggi per carità di patria.

Il necrologio del CAI

Pubblicato sulla Rivista mensile Vol. 52, n.2, pp. 104-108 (1933). L'autore è il suo compagno di salite Leopoldo Gasparotto. Non ho informazioni sulla genesi dell'amicizia con Gasparotto, che in sostanza afferma di averlo introdotto alla montagna; forse le famiglie si frequentavano visto che il padre di Leopoldo, Luigi, era di idee democratiche e liberali.

Il 13 ottobre 1932 in un incidente nella discesa dalla Piramide di Chefren, in Egitto, Alberto Rand Herron, membro del C.A.A.I. e delle Sezioni di Firenze, Torino e Milano del C.A.I., moriva a trent'anni, ritornando dall'assalto al Nanga Parbat, il colosso Himalayano di 8130 m, attaccato dalla spedizione tedesco-americana diretta dal noto e valoroso accademico Ing. Willy Merkl, di Monaco. L'audace tentativo, condotto con una preparazione scrupolosa, veniva interrotto dal maltempo e dalla malattia di due alpinisti.
I lettori hanno presente l'articolo che Herron ha scritto recentemente sulla Rivista mensile intorno ai monti del Kaisergebirge, ne sanno quindi il grande valore tecnico nelle arrampicate su roccia. Non tutti sanno però che Herron fu tra i più completi alpinisti, poiché accanto alle vittorie riportate in imprese di 5° e 6° grado nel Kaisergebirge e nelle Dolomiti stanno le sue belle conquiste nelle Alpi Occidentali e nel Caucaso.
Le prime ascensioni sull'Aiguille de la Brenva, sulle Grandes Jorasses per la cresta di Tronchey, sulla parete N del Corno Bianco, la prima italiana della Dent des Bouquetins, il Monte Bianco per la cresta di Peuteurey e per la via della Brenva, dicono come Egli eccellesse anche nella scuola della piccozza e del rampone.
Nel Gruppo del Monte Bianco, in pochissimi anni, spesso con Evaristo Croux, compì quasi tutte (non si equivochi sul valore delle parole) le ascensioni classiche. Una eccezionale passione per la natura traeva il giovane americano, nato a Pegli e vissuto quasi sempre a Firenze, a visitare tutti i monti possibili; e ne risultò un'attività straordinaria. Molti anni or sono, coll'esploratore svedese Pallin, in pieno inverno compie la prima traversata della Lapponia. L'anno seguente, da solo, è sull'Atlante, vince il Toubkal e altre cime vergini. Nel 1929 siamo insieme nel Caucaso, all'attacco del Ghiulcì, le cui due punte cedono il 25 luglio. Avevamo già compiuto in precedenza le prime ascensioni del Colle Ghiulcì e del Colle Sugan. Un'oftalmia lo toglie ad altre belle conquiste, ma Egli marcia però, con Singer, attraverso la Svanezia. Valica due volte la catena principale tra l'Europa e l'Asia, e, praticamente, i suoi spostamenti col grosso del carico, permettono agli altri due la conquista della Punta degli Italiani e a me dell'Elbruz con gli sci.
Nel 1931 Herron è in America, e non tralascia di visitare anche i gruppi montuosi del nuovo continente; intanto matura una grande idea, e nella primavera non mancano più uomini né mezzi per una spedizione sulle altissime montagne del centro dell'Asia. Grandissima parte del merito dell'organizzazione va data a Herron; che anche all'ultimo, quando la nostra spedizione fu vietata da una Potenza straniera, non tralasciò mai di fare tutto quanto fosse fattibile. Persino un viaggio a Mosca per ottenere la impossibile revoca del divieto! Questo dipinge il carattere dell'uomo: attaccato fino all'estremo al proprio ideale.
Era naturale che i valorosi componenti Germanici della spedizione al Nanga-Parbat, che allora stava preparandosi, ricercassero un elemento tale, e nell'estate del 1931 Alberto Rand Herron inizia l'allenamento coi nuovi compagni tedeschi. La serietà della spedizione si desume dalla preparazione: mesi interi passati in montagna, nuove vie accademiche aperte nelle Alpi occidentali, ascensioni di 5° e 6° grado nel Kaisergebirge, permettono di vagliare e temprare gli uomini che nella primavera partono da Genova alla volta del Nanga-Parbat, dove già Mummery aveva immolato la propria vita.
Nel 1931 Herron inizia la stagione alpinistica in aprile, su pei dirupi della Svizzera Sassone; passa nel Kaisergebirge, poi nel gruppo del Bianco, ma intanto trova il tempo di venirmi a fare una visita e di andare insieme al Campanile Basso di Brenta, in Grignetta e persino sulle pareti del modesto Zuccone dei Campelli!
Il giorno seguente, in motocicletta, è già a Courmayeur! Terminata la stagione alpinistica sulle alte montagne, riparte per il Kaisergebirge, previa visita al gruppo del Monte Rosa e prima ascensione del Corno Bianco dalla Parete Nord. La stagione ha finalmente termine nelle Dolomiti, troncata dalle prime nevi autunnali!
Le Alpi Apuane furono la palestra delle prime audacie di Herron, e colà anche in seguito Egli ritornava sovente; alla Toscana era particolarmente affezionato e si definiva cittadino di Firenze.
E ben degno ne era, poiché a molti poteva insegnare ad amare la sua Città. Né la Sua pura parlata fiorentina tradiva l'origine americana. Certo Egli amava e conosceva l'Italia come non molti di noi. Ed il Club Alpino Italiano deve a Herron molte belle vittorie, anche in terra straniera, perché ovunque, sui libri dei rifugi e nelle relazioni Egli firmò: Alberto Rand Herron del Club Alpino Italiano. Effettivamente dalla nostra famiglia aveva appreso ad amare la montagna e a penetrarla nei suoi più intimi sensi e segreti.
Musicista di valore, studiò e si laureò a Firenze, perfezionandosi e diplomandosi poi al Conservatorio di Vienna. Un suo Oratorio a S. Francesco, composto a 18 anni, rivelò il suo geniale talento. Questa Sua personalità e sensibilità musicale lo rendeva stranamente emotivo durante le ascensioni. Si potrebbe dire che Egli sentisse musicalmente la montagna. tanto da lasciare talora scritte le sue impressioni con frasi musicali. Una descrizione d'una burrascosa giornata al Rifugio delle Jorasses si può trovare sul libro della Capanna, dipinta con un famoso brano di Wagner. Con profonda tristezza, con inesprimibile rimpianto, gli amici, che contava numerosi, soprattutto a Firenze ed a Milano, ricordano oggi il grande Ragazzo, dagli occhi buoni e profondi, stranamente semplice, perpetuamente distratto, che agli agi di una vita comoda e facile preferiva, in qualunque momento, la semplicità di una capanna, un lembo di cielo, il verde di un prato ed una abbondante ciotola di latte.

Il necrologio del AAC

Pubblicato su AAJ, Vol.2, n.1, 110-113 (1933). Il testo originale è disponibile qui; la libera traduzione è mia. L'autrice, indicata come E.K., è Elizabeth Knowlton, unico altro membro americano della spedizione al Nanga Parbat del 1932 con ruolo di corrispondente. EK scrisse anche una poesia dedicata ad ARH nel 1934, ora conservata tra la sua corrispondenza alla Univ. of New Hampshire. Willy Merkl, il capo spedizione (che morirà tornando sul Nanga Parbat nel 1934), dedica un paragrafo al ricordo di ARH sull'Himalayan Journal del 1932 [10] (consultabile qui), riportato dopo lo scritto di EK.

Il 13 ottobre 1932, Elbridge Rand Herron, di ritorno dall'India con una spedizione che aveva tentato il Nanga Parbat, compì un'escursione di un giorno al Cairo e salì la Seconda Piramide. Aveva superato la difficile parte superiore con gran soddisfazione e stava scendendo di corsa lungo la parte facile quando un piede scivolò su un sasso mobile. Cadde per 100 metri e morì sul colpo.
Rand Herron aveva scalato quasi interamente con europei e viveva in questo paese da solo due anni, ma si era sempre considerato completamente americano, anche se la sua vita e il suo alpinismo americani erano solo all'inizio e molto poco si sa di lui qui.
Era nato a Pegli, Italia, il 23 luglio 1902. I suoi genitori erano entrambi americani: suo padre, George Herron, un noto socialista e internazionalista; sua madre, Caroline Rand, figlia del fondatore della Rand School a New York. Trascorse la sua infanzia in una splendida antica villa alle porte di Firenze, dove i suoi genitori ricevevano ospiti liberamente, avendo così l'opportunità di frequentare diverse persone interessanti e notorie. Qui nacque il fratello, George Davis Herron, che gli sopravvive. Quando aveva dodici anni, sua madre morì, e suo padre si trasferì in campagna fuori Ginevra. Là Rand andò a scuola per otto anni. Tornarono a Firenze in tempo perché lui iniziasse l'Università, dove si laureò in filosofia.
Sin dalla sua prima giovinezza, i suoi interessi principali furono la musica, che coltivò per tutta la vita, e l'alpinismo. A causa di complicazioni familiari non fu in grado di iniziare ad arrampicare fino a poco più che ventenne, ma desiderò sempre farlo: aveva ricoperto le pareti della sua stanza con immagini di montagna e per lui uno dei più grandi eventi della sua fanciullezza fu una salita con lo zio nel Wellenkuppe.
Nei suoi sette anni di arrampicata prima della morte, spaziò in ogni dove. Scalò intensamente e brillantemente nelle Alpi, in genere senza guida, conducendo molte prime ascensioni, ottenendo il record di altezza sulla parete nord delle Grandes Jorasses e ripetendo alcune delle vie più dure nel Kaisergebirge. Assaporò l'arrampicata su metà delle maggiori e minori catene montuose d'Europa. Vagabondò da solo per la Corsica, sopra il Parnaso e le cinque vette dell'Olimpo, dove bivaccò due notti. Con amici andò nell'Alto Atlante in Marocco e nelle montagne della Lapponia in inverno. Nel Caucaso compì la prima salita del Guilchi e di altre cime. E la scorsa estate, come unico alpinista americano della spedizione himalayana tedesco-americana al Nanga Parbat, fu il primo a giungere sulla montagna e l'ultimo a lasciarla, raggiungendo una quota di oltre 6700 metri.
Nel frattempo non trascurava la musica, ma trascorreva i suoi inverni a studiare a Vienna, Berlino, Roma e Mosca. A Berlino perfezionò il tedesco che, con l'inglese appreso in famiglia, il francese a Ginevra e l'italiano a Firenze, gli diede la padronanza di quattro lingue, che parlava in modo assolutamente interscambiabile. Aveva un dono naturale per le lingue, ed era più o meno a suo agio con altre sette.
Nel 1929 venne in America e si stabilì a New York. Qui si diede all'aviazione ed ottenne il brevetto di pilota. Inoltre, fu qui che incontrò Allen Carpe, che ammirava molto. Si trovarono l'un l'altro immediatamente congeniali, e scalarono insieme spesso lungo l'Hudson.
È difficile descriverlo senza sembrare assurdamente elogiativi. Aveva certamente un sacco di difetti, la maggior parte dei quali sarebbe stato il primo a riconoscere. Ma aveva anche molti pregi e qualità di solito non uniti nella stessa persona.
La prima impressione che sembrava fare su quasi tutti era di giovinezza - giovinezza timida, impaziente ed entusiasta. Dietro la sua timidezza presto emergeva un grande fascino e un'amabile allegria. Era una persona naturalmente felice. Il suo senso dell'umorismo era quello di un bambino; ci prendeva in giro, scherzava e scoppiava in una risata.
Tra i molti aspetti della sua persona, forse il più importante è stato quello di artista, amante appassionato della bellezza e suo creatore. "Genio" è una parola da usare con molta attenzione, ma a tutti quelli che lo conoscevano intimamente diede la netta impressione di averne almeno un tocco di autentico. Scrisse poesia italiana vivace e affascinante ed era a metà di un romanzo. Suonava con raffinata facilità il pianoforte, l'organo e il clavicembalo, e improvvisava deliziosamente. Il suo maggior talento era la composizione musicale, e diversi musicisti affermarono che prometteva di diventare uno dei più importanti compositori americani. Parte della sua musica è già stata suonata a Firenze e  Mosca, e la sua "Cantata al Sole" per coro sarà probabilmente eseguita in California questa primavera. In ogni cosa era tremendamente ambizioso, e capace di duro ed intenso lavoro a sostegno delle sue ambizioni.
Aveva anche una mente brillante e poliedrica. Padroneggiava questioni pratiche con comprensione immediata, esplorando e pesando le possibilità, facendo attenzione a tutte le eventualità, pianificando minuziosamente nei minimi dettagli. Questioni più teoriche, sociali o politiche o estetiche, erano considerate sempre con caldo e vivo interesse, con un occhio per i valori fondamentali e una visione equilibrata di entrambe le parti. Era spassoso sentire con che gusto argomentasse per entrambe le parti di quasi tutte le questioni, perché era violentemente intollerante delle intolleranze. Nei giudizi che lo riguardavano ha mantenuto generalmente la stessa allegra obiettività e imparzialità.
Nella nostra spedizione la scorsa estate ha mostrato soprattutto i lati attivi, pratici e avventurosi del suo carattere. Ha dimostrato di essere un "uomo completamente sano". Era sempre pronto a fare più della sua parte, sempre desideroso di andare avanti, leale ed efficiente così come entusiasta. Non solo durante la spedizione, ma per tutta la sua vita, si è sempre, con gran premura, assunto ogni sorta di responsabilità. Sembrava automaticamente essere quello su cui si contava per occuparsi di tutte le faccende, o per prendersi cura delle persone; perché era affidabile e rispettoso degli altri, e sempre incredibilmente gentile. In tutti gli sforzi e tensioni dell'estate, rimase socievole e di buon carattere, e fanciullescamente ansioso di mantenere ogni cosa allegra e cordiale. "A tutti piaceva Rand", disse un amico.
Per quanto mi riguarda, non ho mai visto nessuno che abbia vissuto più sensibilmente ogni circostanza, buona o cattiva, sempre con un'essenziale capacità di accettazione, uno che amasse di più la vita, che vi mettesse o ne godesse di più.
"Dopo i primi istanti", scrive un compagno di arrampicata dall'India, "ho capito che era un uomo eccezionale, e questa intuizione crebbe poi intensamente... Gli dei hanno trattato duramente chi possedeva un così bell'animo".
Il suo profondo amore per l'alpinismo rivelava molti lati di lui, quello pratico, intellettuale, estetico, gioiosamente avventuroso. C'era anche un ceppo di romantico misticismo. "Anche se noi scalatori di solito non lo ammettiamo," scrisse alla signora Carpe, "siamo sempre più o meno consci che il richiamo strano e irresistibile delle montagne è anche una chiamata verso la fine della vita. E proprio per questo le amiamo ancora di più, e troviamo la loro chiamata più sublime. Desiderio segreto del nostro cuore è che la nostra fine sia tra loro". Sembra la beffa finale della sua breve vita, con tutte le promesse non mantenute, che abbia dovuto incontrare la fine che ha fatto.

Da L'attacco al Nanga Parbat, 1932, di Willy Merkl [10] (traduzione mia):
[...] Non riesco a pensare ora ai miei amici senza menzionare il nome di colui che ci è stato sottratto per sempre da una terribile disgrazia - Rand Herron. Nel viaggio di ritorno, il 13 ottobre, è caduto mortalmente dalla Piramide di Chefren vicino al Cairo. Per tutta la spedizione è stato un compagno ideale, sempre battendosi in prima linea, sempre sforzandosi per il nostro obiettivo comune e sacrificandosi volentieri. Ha sfidato tutti i pericoli dell'Himalaya; ma il muro di 150 metri della Piramide, costruita per mano dell'uomo, ha causato la sua morte. Tale fu la tragedia straordinaria e inquietante della sua fine. [...]

Elenco (incompleto) delle salite di ARH (ulteriori contributi sono apprezzati)

1926/8/6: Cima Rosetta, parete S. Con Emilio Segrè, Piero Franchetti, Emilio Ciaranfi e Giovanni Enriques [3];

1927 (aprile?): Cime N (con un locale) e E (solo) del Toubkal, regione dell'Atlante; 1a asc. [11];
1927/7/11: Aiguille de la Brenva, parete O, 1a asc. Con Piero Ghiglione, Ottorino Mezzalama, Francesco Ravelli, E.(o F.?) Scalvedi [12] (su Lo Scarpone n.19 del 1941 si parla però di salita non integrale);
1927 (luglio): Tete de Trelaport, cresta di fronte al Doigt, 1asc. Con Evariste Croux [13];
1927/10/14: Pizzo Intermesoli, canale Herron-Franchetti, 1asc. Con Piero Franchetti [14].

1928/7/22-23: Grandes Jorasses, cresta di Tronchey, parete O, 1a asc. Con Evariste ed Eliseo Croux [12,15];
1928/8/10: Grandes Jorasses, sperone Walker, parete N, tentativo fino a 700m dalla partenza. Con Leopoldo Gasparotto, Piero Zanetti, Armand Charlet, Evariste Croux [12];

1929: colle Ghiulcì (con Leopoldo Gasparotto), colle Ronchetti e punte Ghiulcì (con Leopoldo Gasparotto, Ugo di Vallepiana e Rolph Singer, il 25/7), regione del Caucaso, tutte 1a asc. [12,16];

1930/6/15: Piramide Casati, parete NO, 1a asc. Con Leopoldo Gasparotto [17];

1931/6/7: Zucco Pesciola, parete N, 1a asc. Con Leopoldo Gasparotto [18];
1931/8/29: Corno Bianco, parete N, 1a asc. Con Ninì Pietrasanta e Giuseppe Chiara [12,19,20];
1931: Monte Bianco (dalla Brenva) [12];
1931: diverse salite nel Kaisergebirge, come indicato in [21,22].

1932 (aprile-settembre): spedizione tedesco-americana al Nanga Parbat. con Willy Merkl (capo spedizione), Fritz Wiessner, Peter Aschenbrenner, Fritz Bechtold, Herbert Kunigk, Felix Simon, Hugo Hamberger (medico), Elizabeth Knowlton (corrispondente) [23].


Bibliografia

[1] I disegni di Giovanni Colacicchi a Casa Siviero, Firenze, Museo casa Siviero (2014).
[2] E. Segrè, Autobiografia di un fisico, Il Mulino, Bologna (1995).
[3] S. Gerbi, Giovanni Enriques, dalla Olivetti alla Zanichelli, Hoepli (2013)
[4] New York Times, 14 ottobre 1932. L'articolo è disponibile (a pagamento) qui.
[5] Rivista di Firenze, anno 1 n. 2, p. 24 (1924). Disponibile online qui.
[6] Club Alpino Italiano, Rivista mensile Vol. 52, n. 2, pp. 104-108 (1933).
[7] Lo Scarpone n. 23, 1 dicembre 1932.
[8] American Alpine Journal, Vol. 2, n. 1, 110-113 (1933).
[9] G. D. Herron, The revival of Italy, Allen & Unwin, Londra (1922). Disponibile online qui. Nel libro GDH pare auspicare una svolta socialista moderata per l'Italia, che certo ci avrebbe risparmiato il tragico teatrino del ventennio. Peccato che le sue previsioni non siano state proprio esatte...
[10] W. Merkl, Himalayan Journal Vol. 5 (1933)
[11] Club Alpino Italiano, Rivista Mensile Vol. 47, n. 1-2, pp. 2-6 (1928).
[12] Club Alpino Accademico italiano, Annuario 1927-1931. ARH è incluso nel gruppo di Torino.
[13] Club Alpino Italiano, Rivista Mensile Vol. 49, n. 2, p. 45 (1930).
[14] L. Grazzini, P. Abbate, Gran Sasso, CAI-TCI, p. 201 (1992). Grazie a Matteo per l'informazione bibliografica.
[15] Club Alpino Italiano, Rivista Mensile Vol. 48, pp. 192-196 (1929).
[16] Club Alpino Italiano, Rivista Mensile Vol. 49, n. 3, pp. 133-149 (1930).
[17] S. Saglio, Le Grigne, CAI-TCI, pp. 296-297 (1937).
[18] Club Alpino Italiano, Rivista Mensile Vol. 50, n. 9, pp. 561-562 (1931).
[19] Club Alpino Italiano, Rivista Mensile Vol. 51, n. 1, pp. 29-32 (1932).
[20] Lo Scarpone anno 2, n. 20, p. 1 (1932).
[21] Club Alpino Italiano, Rivista Mensile Vol. 51, n. 11, pp. 659-677 (1932).
[22] Lo Scarpone anno 2, nn. 17 e 18, p. 2 (1932)
[23] Si veda ad esempio il resoconto della Knowlton su AAJ, Vol. 2, n. 1 pp. 18-31 (1933). Disponibile qui.

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