mercoledì 16 novembre 2016

Zuleika Dobson

di Max Beerbohm
Bompiani, Milano, 1968

Neanche per un istante mise in dubbio la decisione di morire oggi. Dal momento che non era immortale, come aveva sempre creduto, tanto valeva spegnersi adesso che tra cinquant'anni. Anzi era meglio. Una morte prematura, come la chiama la gente, era la più tempestiva di tutte le morti per un uomo che aveva dedicato alla grandezze la propria gioventù. Quale perfezione in più avrebbe potuto raggiungere? Gli anni futuri l'avrebbero soltanto appassita, se non addirittura deturpata. Sì, era una fortuna perire lasciando molte cose all'immaginazione dei posteri. Quei cari posteri avevano una mentalità sentimentale, non realistica.
Urge un'avvertenza: per discutere di questo libro si deve necessariamente rivelarne la trama, peraltro assai flebile e che si disvela  per la maggior parte a pag. 86 su 297. Se quindi siete tra gli sparuti lettori di questo post che legittimamente desiderano conquistare la sequenza degli accadimenti una pagina dopo l'altra, leggete il libro saltando l'introduzione e tornate a tempo debito.
Zuleika, anche se a rigore, non era bella, è una vera femme fatale, che fa innamorare perdutamente di sé qualunque giovane incontri. Tuttavia, non poteva amare chi cadesse prono ai suoi piedi. E ai suoi piedi tutti i giovani cadevano proni. Senza doti né interessi particolari, con una biblioteca composta da due libri di orari ferroviari, gira il mondo facendo la prestigiatrice di quart'ordine, con fama e successo assicurati dal suo fascino. Ad Oxford a trovare il nonno rettore del Judas College (in realtà il Merton College, dove Beerbohm studiò senza laurearsi) incontra il Duca di Dorset (titolo reale, ma estinto dal 1843). La loro relazione è quel discutibile amore a Oxford che costituisce il sottotitolo del romanzo.
Il Duca è descritto, non senza l'ironia che fa da controcanto a tutti gli eventi, come il perfetto dandy: ricchissimo, bellissimo, eccellente in tutte le discipline, corteggiatissimo quasi quanto Zuleika, ma che non aveva mai provato il desiderio di amare perché troppo preoccupato della propria perfezione per ammettere di poter ammirare qualcun altro. Ovviamente, anche lui si innamora di Zuleika a prima vista, ma il fatto lo contraria: non poteva permetterle di diluire l'essenza della sua anima. Non doveva sacrificare il proprio dandismo ad una passione (Wilde e Byron non sarebbero stati d'accordo con questa dicotomia, ma non importa). Si sforza quindi di ignorare Zuleika, che per contrasto se ne innamora. Il giorno dopo il Duca ha superato il proprio travaglio e rivela alla fanciulla il suo amore, ma questo determina la fine dell'amore di Zuleika per lui: lei disdegna chiunque la ami. Infarcito di cultura e miti classici, il Duca decide quindi di morire per amore di lei.
Zuleika, pur lusingata, si guarda bene dal fargli cambiare idea - anzi; ci tiene assai a che la promessa venga mantenuta -, e solo lo convince a rimandare il proposito di ventiquattr'ore, la cui descrizione costituisce il resto del libro. L'aspetto un po' comico della vicenda è arricchito dal fatto che tutti gli altri studenti di Oxford, ovviamente innamorati di Zuleika e che guardano al Duca come ad un modello ideale, decidono di seguirlo, determinando un suicidio di massa per annegamento.
Che la trama sia poco da prendere sul serio lo si capisce subito: statue di marmo di imperatori romani che simpatizzano con il destino di Oxford, dei greci che governano i mortali, fantasmi svolazzanti di qua e di là, anelli che tradiscono i sentimenti dei loro proprietari, punto di vista della narrazione che si interrompe di colpo per esporre considerazioni del narratore stesso, che si dice mandato da Clio (musa della Storia) a raccontare la vicenda "reale" ed in grado di leggere i pensieri dei protagonisti, e così via. Ma allora, cosa rappresenta questo racconto apparentemente così senza senso?
Intanto, è una rivisitazione nostalgica della vita universitaria oxfordiana, con un aspetto farsesco della narrazione che aveva già notato E. M. Forster: tutto il comportamento del Duca e della società oxfordiana è improntato ad un'affettuosa ironia (molto "inglese") che sdrammatizza il comportamento del dandy, qual era lo stesso Beerbohm. Anche Zuleika non ne è del tutto esente, ma in modo diverso: il suo non voler/poter amare chi la ama la trasforma in marionetta, cui l'autore (un po' misogino) assegna tratti decisamente antipatici salvo poi ammetterlo con il lettore ed ammonirlo alla comprensione (Cap. XXIII).
Un altro aspetto del libro legato agli studi universitari è dato dagli espliciti riferimenti ai "classici", a partire dai miti greci: così l'azione del Duca che, umiliato da Zuleika nella sua ultima sera, torna padrone di sé stesso e decide di non sacrificare la vita per quella donna dalla risata di iena è frustrata dall'apparizione del presagio di morte mandato dagli dei, che gli ricordano il suo destino come in una tragedia greca. E l'ironia si insinua attraverso il riferimento al Don Chisciotte, sotto forma di un richiamo alla pastorella Marcella, cui Zuleika è paragonata nel Cap. II, dove non manca un posticino per la Margherita del Faust. Un esplicito giudizio non troppo lusinghiero sul contemporaneo Sargent (Cap. XVIII), l'immancabile Shakespeare e chissà quanti altri completano il quadro. E che dire del nome stesso, Zuleika, nome della moglie di Putifarre secondo una leggenda medievale, che significa brillante bellezza?
Certo, a volte la narrazione non funziona perfettamente: il Duca con la sua cultura classica non può che morire stoicamente per volere degli dei, e da qui il mutamento del suo amore per Zuleika in odio e l'intenzione di recedere dal suo proposito, come detto sopra. A questo punto, però, Zuleika si innamora di nuovo di lui, che non l'ama più. Ma questa soluzione sarebbe troppo romantica: il Duca deve morire nell'indifferenza di lei. Beerbohm si inventa quindi un dialogo (Cap. XVI) che fa acqua da tutte le parti, al termine del quale ogni traccia di amore è scomparsa ed il Duca può morire per mantenere fede alla parola data!
In realtà, di tutto questo conclamato amore v'è ben poco: il Duca e Zuleika sono molto più interessati a sé stessi che all'altro/a e, a ben vedere, anche Katie, che dovrebbe rappresentare una specie di anti-Zuleika, non perde troppo tempo a lasciare il ricordo del Duca per innamorarsi di Noaks, l'unico studente che non ha il coraggio di annegarsi. Di Noaks si innamora anche Zuleika, che prende l'ennesima cantonata ritenendosi rifiutata da chi non è morto per lei (!!), ma Noaks - come tutti i dandy di questo libro - è assolutamente impedito con le donne e alla fine troverà il coraggio di seguire il destino dei suoi compagni. E su questo destino faccio l'ultima chiosa: il Duca, "vittima" di Zuleika, è assai contrariato che la sua decisione di suicidarsi sia seguita da tutti gli altri studenti, vittime del suo esempio; sia perché si sente responsabile di questa loro scelta, sia perché questo gli leva l'esclusiva del gesto: il dandismo e l'eccezione sono diventati impossibili nella folla, sono massificati. L'ironia di Beerbohm non lascia scampo neanche al Duca.

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